Lavorare sempre non è un vanto. È un campanello d’allarme.

“Se ti vanti di lavorare anche in pausa pranzo, non sei una brava persona”.
Fa sorridere, ma in fondo è vero. Perché certe frasi – che suonano come orgoglio personale o dedizione totale – nascondono spesso una cultura del lavoro distorta, in cui l’iper-impegno diventa la misura del valore individuale.

E non è solo una questione di dipendenti. Anche molti imprenditori e manager cadono nella stessa trappola: quella del “se non controllo tutto, crolla tutto”. Ma a quale prezzo?

Essere sempre disponibili: è davvero un merito?

Essere reperibili anche in ferie, rispondere alle mail la sera, saltare la pausa pranzo o “non delegare mai nulla” non sono segnali di efficienza. Sono segnali di iper-responsabilità, di paura, a volte di identificazione totale con il proprio ruolo.
E se da una parte c’è chi si sente indispensabile, dall’altra c’è spesso un corpo e una mente esausti, e relazioni personali trascurate.

Non è raro che chi vive così arrivi a un punto di rottura: burnout, frustrazione, demotivazione. E paradossalmente, proprio chi si dà più da fare, alla lunga diventa meno efficace.

Ma da dove nasce tutto questo?

Non si tratta solo di abitudini personali. È il contesto lavorativo che spesso premia questo tipo di comportamento. Aziende che celebrano il dipendente che “non si ferma mai”, team leader che misurano l’impegno in ore e non in risultati, ambienti in cui “andarsene in orario” viene letto come disinteresse.

E qui entra in gioco la responsabilità dell’imprenditore o del manager: che tipo di cultura stai creando nella tua organizzazione? Le persone si sentono legittimate a riposare, a chiedere aiuto, a prendersi cura della propria vita fuori dall’ufficio?

Il rischio di un’organizzazione che non respira

Un ambiente di lavoro in cui si lavora “sempre” è un ambiente che non respira. Manca lo spazio per la creatività, per l’errore, per la collaborazione vera. Si finisce per correre tanto… ma nella direzione sbagliata.

E questo vale anche per gli imprenditori. Il mito del “capo che non si ferma mai” è pericoloso quanto quello del dipendente sempre connesso. Chi guida un’organizzazione ha il dovere – e il diritto – di preservare il proprio benessere, perché un imprenditore stanco prende decisioni stanche.

Serve una nuova narrazione

Avere una vita piena fuori dall’ufficio non è un segno di scarso impegno, ma una condizione necessaria per essere presenti, lucidi, motivati.
Delegare non è perdere controllo, ma costruire fiducia.
Staccare non è essere meno professionali, ma dare respiro alle proprie energie.

Forse è davvero ora di eliminare dal vocabolario aziendale espressioni come “oggi, mezza giornata eh?” o “finalmente fai qualcosa!”. Perché sono frasi che alimentano una cultura tossica. E in un’organizzazione sana, non servono più.

Il lavoro può dare soddisfazione, senso, identità. Ma non può e non deve essere tutto.
Un’organizzazione che funziona è quella che permette alle persone – tutte, dal dipendente al CEO – di vivere, crescere, respirare anche fuori da quel contesto.

In Concordia, aiutiamo le aziende a costruire ambienti in cui l’equilibrio tra impegno e benessere è reale, concreto, possibile.


E no, non è utopia. È organizzazione positiva.

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